A partire da fine luglio 2018, la Calabria è stata interessata da una intensa attività temporalesca che ha colpito prevalentemente le zone interne: in particolare i temporali, si sono prevalentemente innescati sulle aree montuose nella tarda mattinata, per poi sconfinare nel primo pomeriggio, seguendo la direzione dei venti in quota, sulle aree vallive e localmente su quelle costiere.
Si tratta dei cosiddetti “temporali di calore“: durante il periodo estivo, con il sole molto alto rispetto all’orizzonte, in mattinata il suolo si riscalda notevolmente, così come i primi strati di aria a contatto con esso. Questi strati d’aria a bassa quota formano pertanto una “bolla” calda che tende e a risalire verso l’alto. Se durante tale ascesa la bolla incontra aria circostante più fredda, a causa del principio d’Archimede, allora la bolla stessa tenderà a risalire ancora più velocemente, espandendosi, raffreddandosi e condensando, cioè formando nuvole cumuliformi (i cosiddetti cumulis mediocris e congestus) e, sotto certe condizioni, anche i cumulonembi, cioè le nubi che apportano i temporali.
Questo è, in estrema sintesi, ciò che è accaduto, e sta accadendo, in Calabria, come detto, da fine luglio circa: particolarmente colpita è stata l’area della valle del Simeri, grazie alle correnti in quota che per tanto tempo hanno soffiato da nord e nord-nord-ovest (visto che la Calabria era ubicata sul bordo orientale del promontorio anticiclonico africano) convogliando verso questa zona, pertanto, i temporali che si innescavano sulla Sila Piccola; così come colpita in maniera molto frequente è risultata l’area della medio-bassa valle del Crati, segnatamente la zona compresa tra Montalto Uffugo (CS) e Rende (CS).
In particolare quest’ultima zona ha subìto una anomala frequenza di tali temporali di calore. Facendo riferimento alla stazione Rende N della nostra rete di stazioni meteorologiche, infatti, si può osservare che:
– dal 29 luglio 2018, la stazione di Rende N ha registrato 173,2 mm: un valore decisamente alto considerando che la media dei mesi di luglio e agosto si aggira, per ciascuno di tali mesi, intorno ai 15 / 20 mm; tale anomalo valore è stato prodotto da tante giornate temporalesche: ben 11 temporali in 14 giorni.
– tale ingente quantità di pioggia è risultata estremamente localizzata: infatti se si considera la pioggia caduta sulla stazione di Cosenza S (distante in linea d’aria circa 10 km), si ottiene un valore di soli 27,2 mm, quindi una differenza di quasi 150 mm su 14 giorni a 10 km di distanza, senza barriere orografiche;
– alcuni di questi temporali sono stati tanto intensi da raggiungere il livello di “nubifragio” che, lo si ricorda, è un rovescio in cui si scaricano oltre 30 mm in un’ora: in particolare il 3 agosto sono caduti 55,2 mm di cui ben 45 mm in una sola ora;
– alcuni di questi temporali sono stati grandinigeni, con chicchi sino a 2 cm, come mostrato dalla foto seguente (dal web):
– molti di questi temporali sono stati caratterizzati da intense raffiche di vento: purtroppo non abbiamo dati ufficiali (l’anemometro è uno strumento molto sensibile all’ubicazione, e quello di Rende N presenta alberi a distanza ravvicinata che hanno sicuramente falsato i risultati): in ogni caso, ai fini della stima del vento, “fanno fede” i tanti video e foto che mostrano alberi sradicati.
Difficile comprendere le reali motivazioni dell’accanimento dei temporali di calore proprio in questa particolare zona della valle del Crati. Sarebbe necessario avere maggiori informazioni a disposizione, ad esempio i cosiddetti radiosondaggi, ma purtroppo quelli più vicini sono a Brindisi e Trapani-Birgi, quindi troppo lontani dalle nostre lande per potere essere considerati significativi.
Possiamo al più fare ipotesi sulle cause: in particolare nei primi giorni di questo periodo, la zona è stata particolarmente esposta alle correnti da nord-nord-ovest in quota che hanno fatto sconfinare i temporali di calore innescatisi sul Pollino e sui Monti dell’Orsomarso. Tali piogge hanno reso particolarmente umido il terreno di Rende e Montalto Uffugo rispetto a quelli posti poco più a sud nella città di Cosenza: così durante le mattine, la radiazione solare ha fatto evaporare tale quantitativo d’acqua aumentando l’umidità degli strati d’aria più bassi (con contestuali temperature massime leggermente inferiori a causa del fatto che una parte della stessa radiazione solare, anziché scaldare il terreno, è stata impegnata a far evaporare l’acqua presente in esso); tale maggiore umidità dell’aria (registrata effettivamente dalla stazione di Rende N rispetto, ad esempio, a quella di Cosenza S negli intervalli di tempo pre-temporale, cioè al mattino) potrebbe aver provocato una maggiore instabilizzazione (aumento del CAPE) della colonna atmosferica in quella zona dove, quindi, il “carburante” per la formazione di temporali, cioè l’aria caldo-umida, era presente in misura maggiore rispetto alle zone più secche. Ovviamente tale processo è “autoalimentante” nel senso che più piogge provocano maggiore umidità del terreno, quindi maggiore umidità mattutina per evaporazione, quindi atmosfera maggiormente instabile, pertanto nuove piogge.
E’ solo un’ipotesi, ma al momento sembra quella più convincente.
Downburst o tromba d’aria?
E’ utile infine ribadire una importante concetto.
Le raffiche di vento che hanno caratterizzato molti dei temporali che hanno interessato in questo periodo il cosentino e non solo, non sono frutto di “trombe d’aria” o “tornado” (sono assolutamente sinonimi), bensì di fenomeni denominati “downburst“. Vediamo di capire la differenza tra i due fenomeni.
Il tornado è un violento VORTICE, quindi aria ascendente che ruota velocemente in senso antiorario (nel nostro emisfero) intorno ad un asse sub-verticale; vortice che si forma in particolari strutture temporalesche denominate “supercelle”.
Il downburst invece è causato dalla corrente discendente fredda (downdraft) tipicamente presente all’interno di un cumulonembo (la nube che provoca i temporali) che una volta toccato il suolo provoca violente raffiche di vento che soffiano orizzontalmente e radialmente rispetto al punto d’impatto, quindi sempre LINEARMENTE nella stessa direzione.
La differenza tra i due fenomeni può essere meglio compresa analizzando le due seguenti figure tratte rispettivamente da http://www.meteone.it/ (il tornado) e da: https://scbcitizen.wordpress.com/2010/03/31/storm-spotter-training/ (per il downburst)
Il downburst può essere di tipo umido (wet), cioè accompagnato da pioggia, o secco (dry).
Esso inoltre, se occupa un’area con diametro equivalente inferiore a 4 km, può essere classificato come microburst (wet o dry ).
Le cause di queste raffiche di vento così intense sono da ricercarsi in particolari profili di umidità e temperatura della colonna atmosferica: in particolare si è visto che i downburst sono favoriti quando, all’interno di una colonna d’aria particolarmente instabile, un basso strato d’aria umido è sormontato da uno strato d’aria a quote medie, molto più secco (profilo di un radiosondaggio cosiddetto ad Y). Ed in effetti, se si analizzano le mappe di umidità a 700 hPa (circa 3000 m slm) alle ore 9:00 UTC (quindi nella mattinata, cioè pre-evento) del 3, del 9 e del 11 agosto (giorni in cui si sono verificati intensi downburst su Rende, Montalto e in parte COsenza), si può osservare come l’umidità pre-evento sia sempre stata inferiore al 60%, addirittura al 50% il 9 e l’11 agosto, quando in effetti si sono verificati i downburst più intensi con sradicamento di alberi, come mostrato dalle foto di fine articolo.
Tali foto danno anche informazioni sulla possibile velocità di picco delle raffiche considerando che, secondo la scala Beaufort, lo “sradicamento di alberi” è associato a velocità del vento di grado 10, cioè di “tempesta“, con velocità comprese tra 88 e 102 km/h.
Le foto seguenti si riferiscono a un abete di 12 m d’altezza in Rende – Cancello Magdaloni
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