Il coronavirus riduce l’inquinamento e combatterà i cambiamenti climatici?
Fra i media si fa un gran parlare del fatto che il lockdown (quasi) globale causato dal diffondersi dell’epidemia provocata dal Coronavirus stia diminuendo in maniera sostanziale l’inquinamento e che questo possa avere effetti positivi sul riscaldamento globale in atto: purtroppo, però, come sovente, ahinoi, capita quando si parla di Scienza, v’è grande confusione anche sui concetti base.
In primis è necessario esporre una doverosa, quanto molto spesso trascurata, distinzione di base: fra le diverse sostanze emesse dalle attività umane, alcune sono inquinanti, quindi dannose per la salute umana e per la conservazione della flora e della fauna, altre invece sono “climalteranti” ovvero una loro maggiore concentrazione in atmosfera attiva dei meccanismi tali da variare il clima del globo: è una distinzione che può apparire troppo semplicistica (molte sostanze sono sia inquinanti che climalteranti, e lo possono essere sia direttamente che in maniera indiretta), ma è stata introdotta a scopo divulgativo.
Ad esempio: la famosa anidride carbonica (CO2) di produzione antropica (cioè per emissioni da attività umane) è un gas sicuramente “climalterante” in quanto, sulla base di una massiccia produzione scientifica, incide sul riscaldamento globale in atto; ma essa, di per sé, non è tossica per l’uomo se non in quantità molto elevate: oggi la sua concentrazione in atmosfera è dello 0,04% (cioè 400 ppm contro i 280 ppm dell’era preindustriale) mentre per essere dannosa dovrebbe arrivare al 5% (oltre 100 volte in più), quantità che nonostante la notevole produzione industriale odierna non sarebbe raggiunta neanche in migliaia di anni.
Invece altre sostanze come, ad esempio, gli ossidi di azoto (NOx) o di zolfo (SOx), pur inquinando moltissimo, non possono essere definite “climalteranti” cioè non incidono direttamente sul riscaldamento globale in atto, ma provocano danni diretti all’ecosistema.
Poi v’è il cosiddetto “aerosol” (abbreviazione di “soluzione aerodinamica”) che è una sospensione di particelle solide o liquide, di varia dimensione, di varia origine (naturali come le polveri desertiche, le spume marine, i prodotti delle eruzioni vulcaniche, pollini, spore, etc; o antropiche: inquinanti atmosferici, fumo, etc..). All’interno della vasta categoria degli “aerosol” v’è il cosiddetto particolato costituito da un insieme di particelle liquide o solide sospese in aria con dimensioni inferiori ai 500 micron (si consideri che un capello umano ha una sezione trasversale con diametro medio di 70 micron, e che 1 micron = 1 milionesimo di metro). Tra i particolati quelli che hanno maggior impatto sulla salute degli esseri umani (1) vi sono quelli “fini” cioè con dimensione inferiore ai 10 micron, indicati con la sigla PM10, e quelli con dimensioni inferiori a 2,5 micron indicati con PM2.5.
Il particolato aerodisperso è in grado di adsorbire gas e vapori tossici sulla sua superficie. Tale fenomeno contribuisce ad aumentare le concentrazioni degli inquinanti gassosi che raggiungono le zone più profonde del polmone, trasportati dalle particelle PM10 e PM2.5. Numerosi studi hanno evidenziato una correlazione tra esposizione acuta a particolato aerodiperso e sintomi respiratori, alterazioni della funzionalità respiratoria, ricoveri in ospedale e mortalità per malattie respiratorie. Inoltre, l’esposizione prolungata nel tempo a particolato, già a partire da basse dosi, è associata all’incremento di mortalità per malattie respiratorie e di patologie quali bronchiti croniche, asma e riduzione della funzionalità respiratoria. L’esposizione cronica, inoltre, è verosimilmente associata ad un incremento di rischio di tumore delle vie respiratorie.
Si consideri che i particolati, oltre ad essere inquinanti veri e proprio, hanno anche un impatto sul clima, visto che concorrono alla formazione delle nubi che, a loro volta, essendo in grado di riflettere, assorbire e disperdere le radiazione ad onde corte (provenienti dal sole) e ad onde lunghe (emesse dalla terra), incidono sul bilancio radiativo globale: nello specifico, l’aumento della concentrazione della maggior parte dei particolati favorisce la formazione di nubi che, quindi, provocano un raffreddamento; unica eccezione sarebbe il particolato “black carbon” che, invece, determina un innalzamento delle temperature.
Quindi ricapitolando:
- la CO2 è una sostanza non inquinante ma pericolosa per l’uomo e per l’ambiente in quanto contribuisce al riscaldamento globale da cui deriva tutta una serie di situazioni: fusione dei ghiacciai e delle calotte polari, acidificazione degli oceani, maggiore incidenza di ondate di calore, possibile maggiore frequenza di eventi estremi (su questa previsione però sono necessari maggiori approfondimenti scientifici), possibile maggiore incidenza di elementi patogeni come malaria, febbre dengue etc, ma anche qualche effetto positivo come l’effetto di rinverdimento della terra e minore mortalità per eventi di freddo;
- altre sostanze come NOx e SOx invece sono inquinanti nel senso che la loro maggiore concentrazione in atmosfera provoca direttamente danni all’ecosistema;
- i particolati PM10, PM2.5 etc presentano caratteristiche inquinanti e climalteranti.
Vediamo come la diffusione del Coronavirus e il conseguente lockdown, hanno inciso sull’emissione sia delle sostanze inquinanti, sia di quelli “climalteranti”.
A livello globale è diminuita la produzione industriale e ridotto notevolmente il traffico automobilistico (leggero e pesante), aereo e marittimo: la conseguenza di questo stop è stata una netta diminuzione della concentrazione delle sostanze inquinanti su molte aree del globo: ad esempio si noti la differenza di concentrazione del biossido di azoto NO2 sull’Europa, prodotto principalmente dal traffico veicolare leggero e/o pesante e dalle industrie, tra due momenti: quello prima e quello post lockdown, come rilevato dalle immagini satellitari Sentinel-5P dell’ESA:
come si vede, mentre prima del lockdown, sulla Pianura Padana la concentrazione di NO2 era altissima (colore rosso), dopo il lockdown la concentrazione, ancora alta, si è ridotta notevolmente (assumendo un colore giallo): si stima una diminuzione del 30-40%.
Tale situazione è avvenuta anche in altre parti del globo travolte dallo “tsunami” coronavirus, come la Cina (si veda figura successiva) e la Corea del sud (2).
Si noti, però, come la maggior presenza in casa di molte persone avrà, probabilmente, mantenuto alto il livello di concentrazione dei particolati PM10 e PM2.5 visto che, come dimostrato da un’interessante studio dell’ISPRA (3), la fonte principale delle emissioni di particolato fine in Italia è dovuta proprio al riscaldamento residenziale.
Il lockdown, comunque, ha favorito anche l’abbassamento delle emissioni di CO2: alcuni studi (4), (5) e (6) stimano che, alla fine del 2020 si registrerà un calo nelle emissioni di CO2 del 5%: sarebbe il calo più consistente mai registrato nella serie storica delle emissioni annuali globali di CO2, anche maggiore del calo dell’1,4% che si registrò nel 2008 a seguito della crisi finanziaria.
Una riduzione del 5% che, però, a detta degli esperti del clima (4) e (5), non influirà in nessun modo sul riscaldamento globale visto che essa non è frutto di un complessivo e ragionato piano di decarbonizzazione di lungo termine della produzione industriale; passata la tempesta del coronavirus, quindi, si teme che, al ripartire dell’economia mondiale (fase di “rimbalzo”) le emissioni torneranno velocemente ai livelli pre-pandemia crescendo poi nel tempo con la stessa velocità.
Inoltre, si noti che, pur notevole, il dato del 5% sembrerebbe comunque insufficiente ai fini del contenimento del rialzo delle temperature globali: al fine, infatti, di contenere l’incremento delle temperatura globale a +1,5° rispetto agli standard pre-industriali, sarebbe necessaria una riduzione delle emissioni del 7,6% all’anno per i prossimi 10 anni (7)!
Quindi, in definitiva, il Coronavirus, oltre a morti e difficoltà di ogni genere che ha creato, e continuerà a creare, all’economia e alla socialità anche negli anni a venire, sta mostrando risvolti apparentemente positivi come la riduzione dell’inquinamento (ma non per tutte le sostanze inquinanti) e dell’emissione di sostanze “climalteranti”; è comunque molto probabile che tali risultati si riveleranno effimeri, visto che nel post-pandemia, col ritorno alla normale massiccia produzione industriale, le sostanze inquinanti e climalteranti continueranno ad aumentare con il tasso di crescita pre-pandemia, e quindi tutte le problematiche di protezione ambientale e di cambiamento climatico si riproporranno tal quali.
Si ringrazia per gli spunti sul particolato il Dott. Paolo Frontero, e per il supporto il Prof. Teodoro Georgiadis e l’ing. Massimiliano Santini.
(5) https://www.eenews.net/stories/1062893583
(7) https://www.unenvironment.org/interactive/emissions-gap-report/2019/
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